PERCORSO ARTISTICO

 

Gianbattista Gambaro, nel 2004, approda alla pittura da autodidatta. Per quattro anni, fino al 2008 quando inizia ad esporre in diverse manifestazioni artistiche, si dedica allo studio della composizione e del colore, approccia diversi soggetti, determina il suo stile. In quegli anni di ricerca Gambaro fa del colore e della luce i protagonisti della sua opera rivolgendosi alla costante raffigurazione del vero e delle emozioni. Inaugura la sua esplorazione della bellezza in ogni esistenza e in ogni elemento, anche quello più umile e più nascosto, e inizia il confronto con alcune tematiche, una per volta, approcciandole, indagandole, esaurendole.

 

Si dedica inizialmente ai paesaggi, caratterizzati da prospettive sempre più ampie e distese.Sono paesaggi innevati, quasi di fiaba, talvolta boschivi, a volte di montagna, qualche altra volta della sua Galliate. Si cimenta anche nelle scene di marina: mareggiate oppure strisce d’acqua solcate da barche a vela coperte da immensi cieli, Gambaro crea brani di maestria prospettica giocando con la linea dell’orizzonte. Dalla sintesi compositiva dei suoi paesaggi, vere liriche di emozioni in distese infinite di luce e colori, Gambaro arriva in un secondo momento all’analisi attenta degli umili elementi naturali: canne, giunchi e fiori mossi dalla lieve brezza. Le inquadrature si fanno sempre più vicine; dalla lucentezza del panorama generale l’artista galliatese passa all’indagine accurata del piccolo frammento naturale e ne ammira la delicata materia. È un’attenzione al particolare, che ha il proprio humus nel mondo rinascimentale nordico dove anche nell’umile ciuffo d’erba si scopre la bellezza del creato.

In questo passaggio dalla vastità di visione all’analisi del particolare si inseriscono le nature morte. Uno studio attento di composizione e luce, un momento di sperimentazione della resa materica. Le superfici lucide e le forme analitiche parlano di una ricerca volta a conferire contemporaneità ad un genere del passato. Dalle nature morte alla Chardin Gambaro passa, quindi, a composizioni che riecheggiano la grafica odierna.

 

È comunque, sempre, la sua grande umanità ad emergere. Un’umanità che viene anche ritratta. Nasce la serie dei ritratti. Sono donne africane e orientali, sono contadini tibetani che si presentano nella loro genuina semplicità. Il colore ne sottolinea la forza e la dignità. La luce segna le fatiche quotidiane su quei volti ed inizia a dialogare in modo più contrastato con l’ombra. Sulla scia del naturalismo seicentesco, Gambaro esplora la dinamica luce/ombra e alla fine, testimone di quell’umanità, si avvicina fino a dipingere un puro sguardo, e in quegli occhi si legge il coraggio della esistenza.

Ma il ritratto è anche indagine. Gambaro pur nella raffigurazione degli umili, dei deboli e dei semplici sa scoprire la bellezza: nasce così Questo è per te, opera vincitrice del 1° premio della Critica al concorso internazionale “La Spadarina” nel 2012 dal tema Restiamo Umani. Dipinge semplicemente un fianco rivestito da povere vesti e ritrae la mano sporca di un giovane tibetano, trasportatore di bitume grezzo, che ha raccolto, nei suoi faticosi e lunghi viaggi, un piccolo fiore per donarlo a chi ama. Qui Gambaro dimostra con grande forza il suo empatico amore per l’umanità tutta.

 

E proprio le mani sono protagoniste di un terzo percorso. Sono mani che nel loro biancore si muovono magre, affusolate, rugose, meravigliose. Sono mani che emergono improvvise dall’oscurità. Sono mani che vivono il piacere del tatto, della materia morbida delle labbra o di frutti succosi e che giocano con la sensazione dell’acqua. Sono mani che esprimono la vita. Sono una sineddoche. Il confronto fra bianco e nero è ravvivato da zone circoscritte di colore: lo smalto rosso delle unghie ben curate, il giallo di un grappolo d’uva “urlano” rompendo un silenzio sospeso.

 

Quelle mani restano protagoniste anche quando Gambaro apre l’inquadratura alla figura intera; esprimono ancora l’atmosfera di un pensiero chiuso in se stesso, di una dimensione intima. Nasce, dunque, l’ultimo percorso: il bianco/nero. La luce meridiana lascia il passo alla sfida del bianco/nero. In un’atmosfera di estrema lentezza, si aprono paesaggi e scorci di vita. L’ombra diventa strumento per la raffigurazione della realtà e la luce acquisisce maggior forza, esplodendo in sprazzi di emozione. Ritornano i paesaggi, ritornano gli umili particolari naturali (rami, alberi, canne), ancora innevati, ritornano le marine… e giungono le scene metropolitane e di interni. Una nuova umanità le abita. Una diversa atmosfera le anima. Gambaro esprime la poesia di un malinconico scivolare del tempo.L’empatia verso la vita si fa ancora più forte; ogni raffigurazione è emozione sospesa.

 

Emanuela Fortuna

Marzo 2016